Gomorra, scritto da Roberto
Saviano (Strade Blu, Mondadori, pagg 336 euro 15,50), ha il grande merito di
raccontare la camorra, ma anche il capitalismo globale, dal di dentro, con gli
occhi dell'uomo del sud che con il suo motorino gira per le frontiere della
grande Napoli e vive, conosce, a volte partecipa, alle manovre del crimine
organizzato, che spesso mostra un'efficienza industriale da fare invidia ai
grandi capitani di industria americani. Saviano cita molte fonti, dati, ma è
l'esperienza diretta che rende questo libro speciale e l'urlo strozzato di
rabbia con cui chiude l'ultimo capitolo è una sfida non solo alla camorra, ma
anche e sopratutto all'omertà dei campani e al mondo cosiddetto
"legale", "perbene", che mostra purtroppo fin troppi legami
di affari con le mafie.
Il libro è diviso in capitoli che
analizzano le diramazioni degli affari della camorra, nel napoletano e in giro
per il mondo, evidenziando la grande capacità imprenditoriale e di mediazione
della criminalità organizzata campana, senza dimenticare il sottostrato di
estrema violenza che la caratterizza.
Gomorra è una miniera di
informazioni sul commercio internazionale e subito si scopre l'importanza che
ha il porto di Napoli nel commercio cinese. Si scopre che proprio a Napoli il
più grande armatore cinese, la
COSCO , che possiede la terza flotta più grande del mondo, ha
preso in gestione il più grande terminal per container, consorziandosi con la MSC (sede a Ginevra) che ha la
seconda flotta più grande del mondo. Si tratta di 950 metri di banchina,
130.000 mq. di terminal container e 30.000 mq. esterni. Il traffico di
container è incredibile e Saviano sottolinea come nel porto, al contrario della
tipica lentezza di Napoli, quello che fuori viene fatto in un ora, qui in un
minuto; tutto è automatizzato e non si deve perdere un secondo. I controlli
diventano un problema, anche per chi è onesto ed è difficile controllare i
container che escono dal porto ogni anno: ufficialmente vengono registrati
1.600.000 tonnellate di merce proveniente dalla Cina, ma almeno un altro
milione passa senza lasciare traccia. Sono cifre enormi, un fiume di merce che
poi si disperde in tutta l'Italia e in Europa.
Ma i cinesi non si fermano a questo.
Stanno cercando di entrare nel mercato dell'abbigliamento di eccellenza, quello
delle grandi firme della haute couture, che è appannaggio della camorra e che
viene prodotto da un sottobosco di micro imprese con sede a nord di Napoli.
Infatti in quella che viene conosciuta come la Las Vegas campana, una
serie di paesi come Caivano, Sant'antimo, Arzano..., chiamata così perchè
costruita nel nulla, nel deserto della legalità e del vivere civile. Qui le
imprese sono di 10 dipendenti, non c'è conflitto di classe, il padrone è un ex
operaio, la famiglia vive al piano di sopra dello stesso edificio della
fabbrica e le operaie lasciano le figlie alla moglie del proprietario; non c'è
rete di protezione, diritti, giuste cause, permessi, ferie, il diritto te lo costruisci, le
ferie le implori: si lavora sull'eccellenza e si hanno stipendi infimi: ma non
c'è l'uno senza l'altro.
Saviano ci dice che queste aziende
partecipano alle aste che fanno le grandi griffe, che riescono ad assicurarsi
prodotti di altissimo livello a poco prezzo, su cui poi i vari stilisti
metteranno il loro marchio, se chiaramente rispettano gli standard che avevano
fissato al momento dell'asta. Saviano fa amicizia con uno dei lavoranti, Pasquale, un vero
genio del taglio, che di nascosto dà lezioni ai cinesi italiani, che stanno
cercando di combattere la concorrenza delle merci che vengono dalla Cina
facendo un salto di qualità alla propria produzione.
Una sera Pasquale vede nella notte
degli Oscar Angelica
Jolie e riconosce il suo abito. Il suo occhio infallibile
riconosce ogni cucitura di quell'abito. Da quella sera Pasquale si rifiuta di
continuare il suo lavoro e cambia: diventa camionista, un lavoro che mortifica
le sua magiche mani. Pasquale sapeva che quel lotto sarebbe andato in America,
ma vedere quell'abito sul corpo di Angelica Jolie gli è parso una beffa
insopportabile.
La produzione, che non ha
l'autorizzazione della casa madre, viene diffusa dal clan di Secondigliano in
una rete di negozi di tutto il mondo: con qualità e marca assoluti, una sorta
di falso-vero. In Australia, in Sudamerica, a Cuba. Le griffe della moda hanno
protestato contro il grande mercato del falso gestito dalla camorra solo dopo
che l'Antimafia ha scoperto l'intero meccanismo. Infatti la camorra controllava
moltissimi punti commerciali, la distribuzione, gli agenti, i trasporti, e i
clan non rovinavano l'immagine delle griffe, ma ne sfruttavano il carisma
pubblicitario e simbolico, aiutando la diffusione del marchio, anche tra chi
non avrebbe potuto mai indossare i capi griffati, facendo falsi di taglie che
le griffe non producono per questioni d'immagine.
A Secondigliano hanno capito che la
capillare rete internazionale di punti vendita è il loro business più
esclusivo, non secondario a quello della droga, che spesso usa gli stessi
canali. Ma è proprio diversa la struttura della camorra rispetto alla mafia; la
camorra ha una struttura orizzontale, più flessibile di quella di cosa nostra;
è capace di gettarsi su mercati nuovi, più flessibile, spesso i camorristi sono
grandi intermediari tra la mafia e i trafficanti albanesi e sudamericani: veri
e propri comitati d'affari, che non hanno bisogno dei politici come la mafia,
ma sono i politici che hanno bisogno di loro.
Un'esempio di questa capacità
imprenditoriale sono stati i Di
Lauro e il loro modo nuovo di vendita e diffusione della droga.
Al contrario della mafia, i Di Lauro non vendono la droga in grandi quantità,
ma invece in maniera capillare, favorendo persino la sicurezza dell'acquirente,
con la protezione di pali. Ti fanno anche trovare la merce pronta, se telefoni,
nella zona del rione Berlingieri. I Di Lauro liberalizzano lo spaccio e
l'approvviggionamento di droga, creando una piccola imprenditoria dello
spaccio, capace di creare/trovare nuovi clienti. Vengono attirati tutti quelli
che vogliono mettere su uno spaccio tra amici, in modo da pagarsi una vacanza,
un master, aiutare il pagamento del mutuo. Questo ha portato ad un abbassamento
dei prezzi, rendendo la cocaina accessibile a lavoratori e studenti. Ora esistono i cosiddetti giri: c'è
il giro dei medici, dei piloti, dei giornalisti, degli impiegati statali.
D'altra parte la cocaina viene vista non più come trasgressione, ma aiuto, un
solvente della fatica, un anestetico del dolore, una protesi della felicità,
alla portata di tutti. Un arresto su tre è incensurato.
Un'episodio grottesco e terribile è
quello dei Visitors, eroinomani che vengono attirati da tutta Italia, quando i
trafficanti vogliono provare un nuovo modo di tagliare la droga, senza
rischiare di perdere i clienti.
La politica di liberalizzazione dei
Di Lauro provocò, nel 2005, la cosiddetta guerra di Secondigliano tra i Di
Lauro e gli Scissionisti, gruppi di camorristi che erano riusciti a crearsi
degli spazi propri di manovra. Le morti della guerra di Secondigliano richiamò
molti giornalisti, ma, dice Saviano, nessuno vede oltre quella violenza,
nessuno ha occhi per la
ricchezza incredibile che viene foggiata qui e di cui queste terre non vedono
che bagliori. In una delle faide di questa guerra, viene uccisa per
sbaglio una ragazzina, Annalisa Durante, una delle tante vittime di una guerra
che solo nel 2005 fece 90 morti (e Saviano conta 3.500 uccisioni in trent'anni,
un record da guerra vera, che non ha uguali in tutta l'Europa). La guerra
finisce con un patto di pace che viene pubblicato sul giornale Cronache di Napoli
il 27 giugno 2005.
Un sacerdote cerca negli anni
novanta di combattere la camorra. Si tratta di don Peppino Diana, parroco della
chiesa di San Nicola di Bari, ucciso nel 1994 a Casal di Principe con cinque colpi di
pistola. Un destino simile a quello di don Puglisi, a Palermo.
Don Peppino distribuì il documento Per amore del mio popolo non tacerò
firmato da tutti i parroci di Casal di Principe nella notte di Natale del 1993, in cui usò la parola
per scardinare e mettere in crisi l'autorità economica e criminale della
camorra, ma anche il tacere dei più che non è solo omerta, ma è spesso
"non mi riguarda", negando la fede cristiana dei boss, facendo
chiarezza sulle parole, sui perimetri dei valori, entrando nel merito dei
sacramenti, allontanando i clan dai simboli religiosi.
Una dei capitoli che più colpisce
leggendo Gomorra
è quello che riguarda il traffico dei rifiuti tossici, in cui sono maestri i
camorristi, che non si creano problemi a
foderare di veleno i propri paesi, a lasciar marcire le terre che circoscrivono
i loro domini: negli ultimi dieci anni 18.000 tonnellate di rifiuti tossici da
Brescia sono finiti a Napoli e 1.000.000 tonnellate a Santa Maria Capua Vetere
in 4 anni. Le campagne del napoletano e del casertano sono mappamondi della monnezza,
cartine al tornasole della produzione industriale italiana. D'altra
parte smaltire i rifiuti tossici in maniera legale costa ad un'impresa del Nord
21-62 centesimi/chilo, contro l'offerta dei clan (9-10 centesimi trasporto
compreso): un risparmio dell'80%, che incide nel bilancio delle imprese del
Nord Italia.
Una figura cardine di questo
commercio è quello del mediatore camorrista (gli stakeolder), capace di
garantire il servizio in ogni sua parte, mentre i mediatori delle imprese
legali propongono prezzi maggiorati, esenti dal trasporto; i mediatori della
camorra non sono mai affiliati al clan, lavorano per diverse famiglie e sono
difficili da condannare perchè ufficialmente non prendono parte a nessun
passaggio della catena dello smaltimento criminale dei rifiuti. Racconta
Saviano che lo stake guarda diversamente dal costruttore: un costruttore vede
lo spazio vuoto come qualcosa da riempire, lo stake pensa invece a come trovare
il vuoto nel pieno, a come ficcare qualcosa dentro: per esempio la piazzola
abbandonata di una pompa di benzina allo stake fa pensare subito ai serbatoi
sotterranei vuoti, capaci di osptare decine e decine di piccoli fusti di
rifiuti chimici.
L'assoluto sprezzo del proprio
territorio da parte del camorrista accentua la paura degli inceneritori che
hanno molti nella Campania, una paura che a noi sembra il retaggio di ignoranza
o semplicemente una manovra della camorra. Leggendo il libro di Saviano si
scopre che la gente teme semplicemente che i loro territori possano diventare
le fornaci perenni dei rifiuti di mezz'Italia a disposizione dei clan, capaci
di vanificare tutte le garanzie di sicurezza ecologiche, contro i veleni che
loro imporrebbero di bruciare; temono che possano arrivare da ogni parte
rifiuti tossici spacciati per rifiuti ordinari: così cercano di resistere allo
stremo. È una paura che adesso diventa più comprensibile. Se fossi napoletabo
forse la penserei allo stesso modo!
Il capitolo sui rifiuti tossici si
intitola "la terra dei fuochi", è la zona Giugliano-Villaricca-Qualiano,
39 discariche di cui 27 con rifiuti pericolose: quando stanno per esaurirsi, la
camorra dà fuoco ai rifiuti, con pericolo mortale per chi ci vive attorno. I
più bravi ad accendere i fuochi sono i ragazzini ROM, che ricevono 50 euro per ogni
cumulo bruciato. Si alza dai fuochi un fumo nerissimo e si abbassa il valore di
terreni una volta famosi nel mondo per l'esportazione di frutta e ortaggi fino
in Scandinavia; ma questo favorisce sempre i clan, che possono acquistare gli
stessi terreni a poco prezzo. La mortalità in Campania per cancro è aumentata
negli ultimi anni del 21%...
Il grido di rabbia di Saviano chiude
il libro: Sono nato in
terra di camorra, nel luogo con più morti ammazzati d'Europa, nel territorio
dove la ferocia è annodata agli affari, dove niente ha valore se non genera
potere. (...) In terra di camorra, combattere i clan non è lotta di classe,
affermazione del diritto, riappropriazione della cittadinanza. Non è la presa
di coscienza del proprio onore, la tutela del proprio orgoglio. È qualcosa di
più essenziale, di ferocemente carnale. (...) Porsi contro i clan diviene una
guerra per la sopravvivenza, come se l'esistenza stessa, il cibo che mangi, le
labbra che baci, la musica che ascolti, le pagine che leggi non riuscissero a
concederti il senso della vita, ma solo quello della sopravvivenza. E così
conoscere non è più una traccia di impegno morale. Sapere, capire diviene una
necessità. L'unica possibile per considerarsi ancora uomini degni di respirare.
Chiudiamo il libro, coscienti della
guerra e della solitudine di Roberto Saviano. Adesso è costretto a nascondersi
per le minacce ricevute e fa rabbia pensare che invece i camorristi girano
tranquilli. Saviano racconta che è stato interrogato dagli inquirenti su quello
che ha scritto nel libro. Giustamente, e amaramente, dice che le stesse domande
che hanno fatto a lui avrebbero dovuto farle a chi sa veramente, a chi è
responsabile di Gomorra.
Cara Lina, lessi questo libro all'epoca che fu messo in vendita.
RispondiEliminaSaviano ha scritto questo libro su dati di fatti veri.
Decise di vivere questa realtà direttamente.
ma come giustamente dici tu, chi dice e scrive la verità si deve nascondere mentre i delinquenti camminano liberi.
La piaga del sud, diventa sempre più profonda, anche perchè lo stivale alto ..vuole così..
Cosa possiamo fare noi persone per bene?
La maggior parte dei campani conosce la mafia attraverso la TV e i giornali.Noi persone oneste non conosciamo nessun mafioso, ma lo stato italiano la conosce molto bene.
Questa è la tristezza più grande e dolorosa.
Grazie di questo post.
Ti abbraccio..
Mi è difficile, fare un commento cara Raffaella, questo libro non lo mai letto ma la storia è stata riportata in un interessante film.
RispondiEliminaSembra quasi impossibile che certe cose succedano, ahimè è la verità.
Buon fine settimana cara amica con un abbraccio forte.
Tomaso
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