venerdì 28 febbraio 2014

Gomorra





Gomorra, scritto da Roberto Saviano (Strade Blu, Mondadori, pagg 336 euro 15,50), ha il grande merito di raccontare la camorra, ma anche il capitalismo globale, dal di dentro, con gli occhi dell'uomo del sud che con il suo motorino gira per le frontiere della grande Napoli e vive, conosce, a volte partecipa, alle manovre del crimine organizzato, che spesso mostra un'efficienza industriale da fare invidia ai grandi capitani di industria americani. Saviano cita molte fonti, dati, ma è l'esperienza diretta che rende questo libro speciale e l'urlo strozzato di rabbia con cui chiude l'ultimo capitolo è una sfida non solo alla camorra, ma anche e sopratutto all'omertà dei campani e al mondo cosiddetto "legale", "perbene", che mostra purtroppo fin troppi legami di affari con le mafie.
Il libro è diviso in capitoli che analizzano le diramazioni degli affari della camorra, nel napoletano e in giro per il mondo, evidenziando la grande capacità imprenditoriale e di mediazione della criminalità organizzata campana, senza dimenticare il sottostrato di estrema violenza che la caratterizza.


Gomorra è una miniera di informazioni sul commercio internazionale e subito si scopre l'importanza che ha il porto di Napoli nel commercio cinese. Si scopre che proprio a Napoli il più grande armatore cinese, la COSCO, che possiede la terza flotta più grande del mondo, ha preso in gestione il più grande terminal per container, consorziandosi con la MSC (sede a Ginevra) che ha la seconda flotta più grande del mondo. Si tratta di 950 metri di banchina, 130.000 mq. di terminal container e 30.000 mq. esterni. Il traffico di container è incredibile e Saviano sottolinea come nel porto, al contrario della tipica lentezza di Napoli, quello che fuori viene fatto in un ora, qui in un minuto; tutto è automatizzato e non si deve perdere un secondo. I controlli diventano un problema, anche per chi è onesto ed è difficile controllare i container che escono dal porto ogni anno: ufficialmente vengono registrati 1.600.000 tonnellate di merce proveniente dalla Cina, ma almeno un altro milione passa senza lasciare traccia. Sono cifre enormi, un fiume di merce che poi si disperde in tutta l'Italia e in Europa.

Ma i cinesi non si fermano a questo. Stanno cercando di entrare nel mercato dell'abbigliamento di eccellenza, quello delle grandi firme della haute couture, che è appannaggio della camorra e che viene prodotto da un sottobosco di micro imprese con sede a nord di Napoli. Infatti in quella che viene conosciuta come la Las Vegas campana, una serie di paesi come Caivano, Sant'antimo, Arzano..., chiamata così perchè costruita nel nulla, nel deserto della legalità e del vivere civile. Qui le imprese sono di 10 dipendenti, non c'è conflitto di classe, il padrone è un ex operaio, la famiglia vive al piano di sopra dello stesso edificio della fabbrica e le operaie lasciano le figlie alla moglie del proprietario; non c'è rete di protezione, diritti, giuste cause, permessi, ferie, il diritto te lo costruisci, le ferie le implori: si lavora sull'eccellenza e si hanno stipendi infimi: ma non c'è l'uno senza l'altro.

Saviano ci dice che queste aziende partecipano alle aste che fanno le grandi griffe, che riescono ad assicurarsi prodotti di altissimo livello a poco prezzo, su cui poi i vari stilisti metteranno il loro marchio, se chiaramente rispettano gli standard che avevano fissato al momento dell'asta. Saviano fa amicizia con uno dei lavoranti, Pasquale, un vero genio del taglio, che di nascosto dà lezioni ai cinesi italiani, che stanno cercando di combattere la concorrenza delle merci che vengono dalla Cina facendo un salto di qualità alla propria produzione.
Una sera Pasquale vede nella notte degli Oscar Angelica Jolie e riconosce il suo abito. Il suo occhio infallibile riconosce ogni cucitura di quell'abito. Da quella sera Pasquale si rifiuta di continuare il suo lavoro e cambia: diventa camionista, un lavoro che mortifica le sua magiche mani. Pasquale sapeva che quel lotto sarebbe andato in America, ma vedere quell'abito sul corpo di Angelica Jolie gli è parso una beffa insopportabile.

La produzione, che non ha l'autorizzazione della casa madre, viene diffusa dal clan di Secondigliano in una rete di negozi di tutto il mondo: con qualità e marca assoluti, una sorta di falso-vero. In Australia, in Sudamerica, a Cuba. Le griffe della moda hanno protestato contro il grande mercato del falso gestito dalla camorra solo dopo che l'Antimafia ha scoperto l'intero meccanismo. Infatti la camorra controllava moltissimi punti commerciali, la distribuzione, gli agenti, i trasporti, e i clan non rovinavano l'immagine delle griffe, ma ne sfruttavano il carisma pubblicitario e simbolico, aiutando la diffusione del marchio, anche tra chi non avrebbe potuto mai indossare i capi griffati, facendo falsi di taglie che le griffe non producono per questioni d'immagine.

A Secondigliano hanno capito che la capillare rete internazionale di punti vendita è il loro business più esclusivo, non secondario a quello della droga, che spesso usa gli stessi canali. Ma è proprio diversa la struttura della camorra rispetto alla mafia; la camorra ha una struttura orizzontale, più flessibile di quella di cosa nostra; è capace di gettarsi su mercati nuovi, più flessibile, spesso i camorristi sono grandi intermediari tra la mafia e i trafficanti albanesi e sudamericani: veri e propri comitati d'affari, che non hanno bisogno dei politici come la mafia, ma sono i politici che hanno bisogno di loro.
Un'esempio di questa capacità imprenditoriale sono stati i Di Lauro e il loro modo nuovo di vendita e diffusione della droga. Al contrario della mafia, i Di Lauro non vendono la droga in grandi quantità, ma invece in maniera capillare, favorendo persino la sicurezza dell'acquirente, con la protezione di pali. Ti fanno anche trovare la merce pronta, se telefoni, nella zona del rione Berlingieri. I Di Lauro liberalizzano lo spaccio e l'approvviggionamento di droga, creando una piccola imprenditoria dello spaccio, capace di creare/trovare nuovi clienti. Vengono attirati tutti quelli che vogliono mettere su uno spaccio tra amici, in modo da pagarsi una vacanza, un master, aiutare il pagamento del mutuo. Questo ha portato ad un abbassamento dei prezzi, rendendo la cocaina accessibile a lavoratori e studenti. Ora esistono i cosiddetti giri: c'è il giro dei medici, dei piloti, dei giornalisti, degli impiegati statali. D'altra parte la cocaina viene vista non più come trasgressione, ma aiuto, un solvente della fatica, un anestetico del dolore, una protesi della felicità, alla portata di tutti. Un arresto su tre è incensurato.

Un'episodio grottesco e terribile è quello dei Visitors, eroinomani che vengono attirati da tutta Italia, quando i trafficanti vogliono provare un nuovo modo di tagliare la droga, senza rischiare di perdere i clienti.
La politica di liberalizzazione dei Di Lauro provocò, nel 2005, la cosiddetta guerra di Secondigliano tra i Di Lauro e gli Scissionisti, gruppi di camorristi che erano riusciti a crearsi degli spazi propri di manovra. Le morti della guerra di Secondigliano richiamò molti giornalisti, ma, dice Saviano, nessuno vede oltre quella violenza, nessuno ha occhi per la ricchezza incredibile che viene foggiata qui e di cui queste terre non vedono che bagliori. In una delle faide di questa guerra, viene uccisa per sbaglio una ragazzina, Annalisa Durante, una delle tante vittime di una guerra che solo nel 2005 fece 90 morti (e Saviano conta 3.500 uccisioni in trent'anni, un record da guerra vera, che non ha uguali in tutta l'Europa). La guerra finisce con un patto di pace che viene pubblicato sul giornale Cronache di Napoli il 27 giugno 2005.

Un sacerdote cerca negli anni novanta di combattere la camorra. Si tratta di don Peppino Diana, parroco della chiesa di San Nicola di Bari, ucciso nel 1994 a Casal di Principe con cinque colpi di pistola. Un destino simile a quello di don Puglisi, a Palermo.
Don Peppino distribuì il documento Per amore del mio popolo non tacerò firmato da tutti i parroci di Casal di Principe nella notte di Natale del 1993, in cui usò la parola per scardinare e mettere in crisi l'autorità economica e criminale della camorra, ma anche il tacere dei più che non è solo omerta, ma è spesso "non mi riguarda", negando la fede cristiana dei boss, facendo chiarezza sulle parole, sui perimetri dei valori, entrando nel merito dei sacramenti, allontanando i clan dai simboli religiosi.

Una dei capitoli che più colpisce leggendo Gomorra è quello che riguarda il traffico dei rifiuti tossici, in cui sono maestri i camorristi, che non si creano problemi a foderare di veleno i propri paesi, a lasciar marcire le terre che circoscrivono i loro domini: negli ultimi dieci anni 18.000 tonnellate di rifiuti tossici da Brescia sono finiti a Napoli e 1.000.000 tonnellate a Santa Maria Capua Vetere in 4 anni. Le campagne del napoletano e del casertano sono mappamondi della monnezza, cartine al tornasole della produzione industriale italiana. D'altra parte smaltire i rifiuti tossici in maniera legale costa ad un'impresa del Nord 21-62 centesimi/chilo, contro l'offerta dei clan (9-10 centesimi trasporto compreso): un risparmio dell'80%, che incide nel bilancio delle imprese del Nord Italia.

Una figura cardine di questo commercio è quello del mediatore camorrista (gli stakeolder), capace di garantire il servizio in ogni sua parte, mentre i mediatori delle imprese legali propongono prezzi maggiorati, esenti dal trasporto; i mediatori della camorra non sono mai affiliati al clan, lavorano per diverse famiglie e sono difficili da condannare perchè ufficialmente non prendono parte a nessun passaggio della catena dello smaltimento criminale dei rifiuti. Racconta Saviano che lo stake guarda diversamente dal costruttore: un costruttore vede lo spazio vuoto come qualcosa da riempire, lo stake pensa invece a come trovare il vuoto nel pieno, a come ficcare qualcosa dentro: per esempio la piazzola abbandonata di una pompa di benzina allo stake fa pensare subito ai serbatoi sotterranei vuoti, capaci di osptare decine e decine di piccoli fusti di rifiuti chimici.
L'assoluto sprezzo del proprio territorio da parte del camorrista accentua la paura degli inceneritori che hanno molti nella Campania, una paura che a noi sembra il retaggio di ignoranza o semplicemente una manovra della camorra. Leggendo il libro di Saviano si scopre che la gente teme semplicemente che i loro territori possano diventare le fornaci perenni dei rifiuti di mezz'Italia a disposizione dei clan, capaci di vanificare tutte le garanzie di sicurezza ecologiche, contro i veleni che loro imporrebbero di bruciare; temono che possano arrivare da ogni parte rifiuti tossici spacciati per rifiuti ordinari: così cercano di resistere allo stremo. È una paura che adesso diventa più comprensibile. Se fossi napoletabo forse la penserei allo stesso modo!

Il capitolo sui rifiuti tossici si intitola "la terra dei fuochi", è la zona Giugliano-Villaricca-Qualiano, 39 discariche di cui 27 con rifiuti pericolose: quando stanno per esaurirsi, la camorra dà fuoco ai rifiuti, con pericolo mortale per chi ci vive attorno. I più bravi ad accendere i fuochi sono i ragazzini ROM, che ricevono 50 euro per ogni cumulo bruciato. Si alza dai fuochi un fumo nerissimo e si abbassa il valore di terreni una volta famosi nel mondo per l'esportazione di frutta e ortaggi fino in Scandinavia; ma questo favorisce sempre i clan, che possono acquistare gli stessi terreni a poco prezzo. La mortalità in Campania per cancro è aumentata negli ultimi anni del 21%...
Il grido di rabbia di Saviano chiude il libro: Sono nato in terra di camorra, nel luogo con più morti ammazzati d'Europa, nel territorio dove la ferocia è annodata agli affari, dove niente ha valore se non genera potere. (...) In terra di camorra, combattere i clan non è lotta di classe, affermazione del diritto, riappropriazione della cittadinanza. Non è la presa di coscienza del proprio onore, la tutela del proprio orgoglio. È qualcosa di più essenziale, di ferocemente carnale. (...) Porsi contro i clan diviene una guerra per la sopravvivenza, come se l'esistenza stessa, il cibo che mangi, le labbra che baci, la musica che ascolti, le pagine che leggi non riuscissero a concederti il senso della vita, ma solo quello della sopravvivenza. E così conoscere non è più una traccia di impegno morale. Sapere, capire diviene una necessità. L'unica possibile per considerarsi ancora uomini degni di respirare.

Chiudiamo il libro, coscienti della guerra e della solitudine di Roberto Saviano. Adesso è costretto a nascondersi per le minacce ricevute e fa rabbia pensare che invece i camorristi girano tranquilli. Saviano racconta che è stato interrogato dagli inquirenti su quello che ha scritto nel libro. Giustamente, e amaramente, dice che le stesse domande che hanno fatto a lui avrebbero dovuto farle a chi sa veramente, a chi è responsabile di Gomorra.




3 commenti:

  1. Cara Lina, lessi questo libro all'epoca che fu messo in vendita.
    Saviano ha scritto questo libro su dati di fatti veri.
    Decise di vivere questa realtà direttamente.

    ma come giustamente dici tu, chi dice e scrive la verità si deve nascondere mentre i delinquenti camminano liberi.

    La piaga del sud, diventa sempre più profonda, anche perchè lo stivale alto ..vuole così..
    Cosa possiamo fare noi persone per bene?
    La maggior parte dei campani conosce la mafia attraverso la TV e i giornali.Noi persone oneste non conosciamo nessun mafioso, ma lo stato italiano la conosce molto bene.
    Questa è la tristezza più grande e dolorosa.

    Grazie di questo post.

    Ti abbraccio..

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  2. Mi è difficile, fare un commento cara Raffaella, questo libro non lo mai letto ma la storia è stata riportata in un interessante film.
    Sembra quasi impossibile che certe cose succedano, ahimè è la verità.
    Buon fine settimana cara amica con un abbraccio forte.
    Tomaso

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